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PER ROSA, L’INVISIBILE

27-11-2020 22:02 - News Generiche
Rosa ci viene sempre in mente, in ognuna delle tante giornate un po’ retoriche che vengono dedicate, in questi ultimi anni, alle donne, ma solo a più di 10 anni dalla sua morte proviamo a raccontare la sua storia, che si è intrecciata al sogno collettivo di chi è stato giovane negli anni ’70, pur temendo ancora di farle torto, se dovessimo racchiuderla nei luoghi comuni sulle vittime di genere.
Quando l’hanno trovata morta, nella sua casa di un quartiere popolare di Messina, Rosa era seduta sul divano in un lago di sangue, con una coltellata al ventre, che le aveva causato una morte dolorosa e lenta, e con accanto, inspiegabilmente, due coltelli: uno sporco di sangue, l’altro perfettamente pulito. Il telefono era a portata di mano, ma lei non aveva fatto nessun tentativo, durante l’agonia, di chiamare qualcuno in aiuto o di salutarlo per sempre: “nessun ripensamento”, secondo la sentenza conclusiva dell’inchiesta, che ha rapidamente archiviato il caso come suicidio, seguìto ad un lungo periodo di depressione. Non si è pensato, o si è scartata in fretta l’idea, che qualcuno potrebbe averle impedito di farlo.
A trovarla il marito, da cui si stava separando e che non abitava più con lei. Un marito che, di fronte al silenzio del telefono e ad un chiavistello che sprangava la porta dall'interno, aveva chiamato il figlio, che da qualche tempo aveva deciso di abitare con lui e non più con la madre, e poi, temendo il peggio, i vigili del fuoco, senza aver provato a sfondare subito la porta, per soccorrerla: forse per il timore di essere accusato di averla uccisa.
Rosa aveva allora poco più di 50 anni, fatti di una lunga serie di tentativi di sfuggire alla solitudine e ad un destino di vittima, che la perseguitava fin dall'adolescenza, quando suo padre riteneva di poter dedicare le proprie attenzioni morbose ad ogni femmina di casa. Aveva cercato allora di diventare donna in un modo diverso, per amore e per libera scelta, con un bel ragazzo gentile, che poche ore dopo si era vantato con gli amici di “essersela fatta”. E quel ragazzo lei lo aveva seguito alle riunioni del gruppo di estrema sinistra, in cui si era convinta presto di aver trovato il posto giusto per la sua condizione sociale ed umana, tanto da continuare a frequentarlo anche dopo il rapido addio a quel primo amore deludente.
E’ lì che ho conosciuto Rosa all'inizio degli anni ’70 ed è lì che lei pensava di aver incontrato finalmente non solo degli amici, ma dei compagni di scelta di vita e, poco dopo, un secondo, importante amore, con cui era andata a vivere in una casa disagiata e malsana, come le tante che si affittavano negli anni ’70 alle giovani coppie ed agli studenti fuori sede più poveri, in una città di vasti rioni baraccati e di speculazione edilizia. Rosa aveva un bel viso delicato, con un incarnato diafano, due grandi occhi neri e la bella bocca segnata spesso, agli angoli, da un herpes mai curato; le sottili mani nervose erano piene di geloni e di screpolature, per i lavori pesanti ed il freddo, ed il corpo, armonioso e sottile, era divenuto gracile dopo un aborto clandestino a Palermo, che le aveva causato una grave emorragia: ma avere figli era impensabile per chi era senza soldi, senza famiglia e senza nessuna certezza in un futuro, che solo la rivoluzione comunista avrebbe potuto cambiare. Per questo si era tanto stupita quando una compagna, che le aveva trovato un lavoro da cameriera presso una conoscente, entrando in quella casa agiata le facesse appena un cenno di saluto, aspettando in salotto che lei servisse il tè e se ne tornasse in cucina: piccole, umane incoerenze, per lei così dolorosamente importanti.
Ma a distruggere ogni illusione, sua e di tutta una generazione, sarebbero arrivate, alla fine degli anni ’70, l’eroina, con i tanti compagni morti anche a Messina di overdose o di AIDS, e la scorciatoia sbagliata della lotta armata, estrema illusione di “creare contropotere” con rapine ed attentati, che in realtà si limitavano a produrre una brutta copia del potere a cui avrebbero voluto opporsi, criminalizzando un movimento politico di ben altra portata. Infine gli anni ’80, con il trionfo borghese dell’effimero, della furbizia e dei soldi facili.
A lei era rimasto allora, ma per poco tempo, solo quell'amore importante, che però andava ormai ad alti e bassi, in una casa un po’ meno malandata della prima ed arredata secondo la moda indiana della fine degli anni ‘70, dove l’ho incontrata un’ultima volta, ancora piena di dubbi e di paura nei grandi occhi neri, alla vigilia della fine di quel rapporto, convinta che in qualche modo fosse solo colpa sua quel naufragare costante della sua vita: della sua poca cultura, della sua fragilità, dell’incapacità di adattarsi ad un mondo in cui si riconosceva sempre meno.
Poi, da lontano, avevo saputo di un matrimonio “normale”, di un figlio che amava ed infine anni dopo, da un articolo in cronaca nera del quotidiano locale, della sua morte drammatica.
Non so se Rosa si sia uccisa davvero in quel modo orribile o se qualcuno abbia inscenato il suicidio. Di certo so che era già stata uccisa a poco a poco, fin dal primo affacciarsi alla vita, da tutti quelli che non l’avevano amata abbastanza e da quelli che, troppo indaffarati ad affermare se stessi, la notavano appena, per quel suo attraversare la vita in silenzio, senza neanche protestare per il male che riceveva, ma solo meravigliandosene appena, convinta sempre che in fondo la colpa di non sapersi relazionare in modo “giusto” con gli altri e con il mondo “reale” fosse tutta sua.
Una convinzione terribile, che sta alla base non solo di tutte le storie tragiche delle donne vittime di violenza, ma anche delle insicurezze di chi evita la violenza fisica ma non quella sociale: la convinzione di essere noi “sbagliate” in un mondo “giusto”, mentre la certezza che è necessario continuare a coltivare, per tutte quelle che ci troviamo a disagio negli stereotipi imperanti, è che siamo noi ad essere giuste, in un mondo sbagliato, che cerca di cancellare in ogni modo la speranza di cambiamento che ci portiamo dentro.
Una certezza che il ricordo di Rosa, l’invisibile, deve aiutarci per sempre a rafforzare.



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