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Svendita alla Caleca: IL SUCCESSO DELLA CERAMICA PATTESE E L´ERRORE DELLA FABBRICA UNICA

02-11-2015 17:56 - Le inchieste
La Curatela Fallimentare a cui da più di un anno è affidata la fabbrica di ceramiche Caleca, ha finalmente messo in vendita le scorte di magazzino, rimaste drammaticamente bloccate dalla fulminea procedura di sequestro dello stabilimento. File lunghissime di acquirenti hanno reso necessaria la prenotazione obbligatoria, per disciplinare l´afflusso di ristoratori, aziende e privati, desiderosi di accaparrarsi i prodotti, ribassati del 50%. Spinti certamente dalla lunga crisi economica che stiamo attraversando, ma anche dalla qualità e dalla fama della ceramica pattese.
E ora molti pattesi si chiedono perché tanti acquirenti non si sono fatti avanti prima, per scongiurare la chiusura della fabbrica e se non sia ancora possibile riavviare la produzione nel grande stabilimento posto nella zona industriale. Due domande che dimostrano quanto poco i pattesi abbiano compreso le ragioni del fallimento di un´azienda, che è sempre stata ben accolta sul mercato, con una rete di punti vendita negli Stati Uniti e negozi in Europa e nelle principali città italiane (a Milano in Galleria, a Roma in celebri pasticcerie siciliane e dappertutto in molti grandi magazzini, che le riservavano un intero settore nel proprio reparto casalinghi). Non è mai stata la distribuzione e la vendita, infatti, il problema della Caleca, quanto una serie di scelte sbagliate di produzione:
1) la pretesa di monopolizzare l´intera produzione ceramica pattese (rappresentata nei suoi periodi migliori da molte aziende di piccole e medie dimensioni), provocando la scomparsa di quel tessuto artigianale, che era la base della creatività e dell´affinamento tecnico del prodotto;
2) avere assunto alle proprie dipendenze i migliori maestri ceramisti, privandoli progressivamente della possibilità di partecipare alle scelte aziendali;
3) avere puntato a sostenersi con i finanziamenti pubblici e con la disponibilità di proprie cave, senza reinvestire i profitti in incentivi alle maestranze qualificate e in nuovi settori produttivi;
4) avere spostato lo stabilimento in una zona industriale del tutto fuori paese, in cui era necessario recarsi appositamente. Una zona in cui, peraltro, si è compiuto un grave inquinamento del fiume Timeto e dei pozzi idrici dell´acquedotto.
Quello che molti pattesi e la vecchia dirigenza della Caleca hanno voluto ignorare è che la grande fabbrica dell´unico padrone non può né migliorare un prodotto per sua natura artigianale, né creare occupazione stabile, ma tutt´al più intercettare soldi pubblici a beneficio di un solo privato. Al contrario, solo un tessuto diffuso di piccole aziende, coordinate per la vendita a distanza del prodotto, ma sanamente concorrenziali tra loro e rigorosamente autonome nella creazione dei prodotti e nella formazione di nuovi maestri ceramisti, può rilanciare l´intero settore (come del resto avviene già in altri paesi siciliani, come la vicina Santo Stefano).
Pensare che i licei possano formare abili artigiani, destinati alla grande fabbrica dell´unico padrone, significa non aver capito nulla del modo paziente e laborioso che crea in bottega il vero artigianato artistico. Significa avviarsi a produrre un prodotto omologato e di medio-bassa qualità, che non potrà mai avere un successo duraturo.
Vorremmo perciò far capire ai pattesi e alla loro rappresentanza politica che non è più tempo di cercare un nuovo grande industriale, ma di restituire alla città e ai suoi ceramisti quell´artigianato storico che li ha resi in passato famosi in tutto il mondo.

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