PORTA SAN MICHELE: monumento architettonico o set cinematografico?
16-05-2016 17:54 - Cenni storici
Che valore ha un monumento architettonico? Serve solo all´estetica di una città ed alle foto di un turismo frettoloso?
Innanzitutto ha un valore storico, in quanto fornisce preziose informazioni sul periodo in cui è stato costruito, grazie ai materiali originali usati per erigerlo, alla tecnica di costruzione adoperata ed allo scopo a cui era destinato. Tanto per fare qualche esempio, l´uso esclusivo di materiali locali non pregiati può farci escludere che esistessero in quell´epoca estesi scambi commerciali, mentre un sistema più o meno raffinato di costruzione può dirci molto del livello tecnico raggiunto da una civiltà, così come l´implicito impiego di molta manodopera (pensate alle piramidi) indicherà la larga disponibilità di schiavi o di operai a basso salario. Il suo scopo racconterà infine di un clima di pace o di guerra e rivelerà l´ideologia che ne ha determinato la progettazione, come nel caso di monumenti religiosi o celebrativi.
Un monumento, inoltre, ha un valore antropologico, dato che consente di ricostruire la vita quotidiana di una comunità: basti pensare alla Fontana Napoli, costruita a Patti nel ´600 per portare l´acqua all´interno dell´area urbana, ma esplicitamente interdetta alle lavandaie da una recinzione in ferro sul bordo della vasca, sul cui fondo il solco profondo dei secchi fa capire come per secoli si sia attinta l´acqua da portare nelle abitazioni.
In entrambi i casi il corretto mantenimento della struttura e dei materiali originali è fondamentale per interpretare fedelmente la memoria che esso contiene.
Un monumento ha, infine, anche un valore emozionale, perché fa sentire chi lo visita a contatto diretto con chi lo costruiva o lo toccava secoli o anni prima: quasi come una macchina del tempo, fa trovare l´uomo di oggi accanto a chi, come lui, abitava già in passato quei luoghi: antenati, concittadini, bisnonni e genitori, che lo hanno visto e vissuto proprio come noi lo vediamo e viviamo oggi.
Tutto questo è stata, per sette secoli, Porta San Michele, una delle 5 porte della cinta muraria pattese, costruita dagli Aragonesi agli inizi del ´300, durante la guerra del Vespro, che in Sicilia li opponeva agli Angioini. Questa Porta, attraverso cui passavano i marinai ed i ceramisti del rione per raggiungere la Marina, scendendo lungo il corso del torrente Provvidenza, le lavandaie per andare a lavare i panni al fiume (in quei lavatoi ormai distrutti dal cemento dell´ultimo Novecento) e i contadini, per andare a lavorare negli Orti, che hanno dato il nome ad una sottostante contrada, o chiunque dovesse andare oltretorrente (al Convento dei Cappuccini, poi trasformato in Cimitero, o a Roccone, Monte o Valle Sorrentini), traversando magari con l´aiuto dei Maragnoni, i traghettatori a spalle che lavorarono a San Michele fino alla costruzione di un Ponte stabile sul Provvidenza; questa Porta, insomma, che è rimasta l´unica perfettamente intatta fino ai bombardamenti con cui, nell´agosto del 1943, gli aerei americani e le navi inglesi distrussero l´85% delle case di quel rione e che ha retto persino al disastroso terremoto del 1978, con cui è stato spazzato via gran parte del Centro Storico pattese, oggi non sappiamo se continuerà ad essere ciò che per 7 secoli è stata.
L´abbiamo rivista, infatti, solo la settimana scorsa, finalmente libera dalle impalcature del restauro, reso necessario ed urgente dall´ampio crollo di un tratto delle mura vicine, molto mutata. Scenograficamente bella, senza dubbio, grazie all´assenza delle erbe che a lungo l´avevano ricoperta, al rifacimento dei tratti mancanti e all´illuminazione dal basso con i faretti a terra. Suggestiva, ma non più quella. Senza dubbio il restauro mirava proprio a far dimenticare il rudere a cui era ridotta, ma ci sembra sia andato ben al di là di quell´opera di "messa in sicurezza e recupero", di conservazione, che doveva realizzare, per approdare ad un vero e proprio rifacimento, che ricorda quello (poi criticatissimo) eseguito in passato a Tindari, con lo spostamento di alcuni blocchi di pietra per ricostruire la cosiddetta Basilica, e che apre molti dubbi. Almeno per noi profani, a cui nessuno, del resto, ha ancora spiegato la metodologia concretamente adottata durante i lavori.
Anche se, infatti, era stato presentato dal Sindaco ai cittadini il progetto iniziale (che alleghiamo qui a fondo pagina), varie difficoltà in corso d´opera hanno poi imposto ripensamenti e scelte diverse, su cui nulla si sa di preciso, tanto che, affidato l´appalto con un ribasso del 35%, si è poi dovuto far ricorso alla consueta Variante in corso d´opera (che alleghiamo a fondo pagina) per aggiungere un ulteriore stanziamento di 11.500 euro. Sia chiaro: va riconosciuto all´attuale Sindaco il grande merito di avere finalmente cercato di salvare concretamente questo monumento, molto caro a tutti i pattesi, su cui per anni si erano versati fiumi di buone (e vane) intenzioni, ma non possiamo non rilevare due cose: 1) non si può continuare ad utilizzare la "procedura negoziata, senza bando di gara" per scegliere ditte non qualificate (al di là delle garanzie solo formali di apparentamento con ditte certificate e della buona volontà delle maestranze), per eseguire lavori che richiedono capacità specifiche ed esperienza; né si può usare un restauro così importante come "scuola pratica" (come ha affermato durante l´inaugurazione il Direttore dei Lavori) per operai inesperti, anche se armati di grande passione, se lo stesso Direttore dei lavori, proprio per il ruolo istituzionale che ricopre, non può essere presente che poche ore alla settimana. 2) Si è scelto di includere nell´intervento il rifacimento di un vicino vicoletto, improntato ora ad una graziosa "atmosfera" di antico, che stona però dolorosamente con lo stato di abbandono del resto del rione e che appare fuori da ogni contesto storico. Riteniamo che gli interventi all´interno del Centro Storico, anche se eseguiti a poco a poco, debbano essere tutti inseriti in un complessivo piano di restauro, per salvaguardare quell´armonia dell´insieme, che è l´unica cosa veramente preziosa in un contesto di semplici abitazioni, prive in sé di specifica monumentalità.
In attesa delle relazioni finali del Direttore dei lavori della Soprintendenza e del RUP del Comune, o di una pubblicazione scientifica sul restauro, che ci impegniamo a pubblicare sul nostro sito non appena potremo leggerle e che potranno sciogliere i nostri dubbi ed illuminare ciò che oggi ci appare oscuro, pensiamo sia giusto intanto dare voce ad alcune perplessità, che aleggiano sul nuovo arco. Nel documento a fondo pagina ("Restauro conservativo o rifacimento?") ci limitiamo a semplici confronti tra il prima e il dopo, sottolineando le differenze.
In generale diciamo solo che l´opera restaurata ci ha trasmesso un effetto di "finto", di opera moderna "antichizzata" dalla sfumatura vagamente rosata dei nuovi muri, che, ricompattati e riallineati, potrebbero rendere più difficile l´auspicata opera di completamento del tracciato delle fortificazioni trecentesche e che da subito rendono difficile la riappropriazione del monumento da parte di molti abitanti del rione, del tutto tenuti fuori dal processo di restauro.
Innanzitutto ha un valore storico, in quanto fornisce preziose informazioni sul periodo in cui è stato costruito, grazie ai materiali originali usati per erigerlo, alla tecnica di costruzione adoperata ed allo scopo a cui era destinato. Tanto per fare qualche esempio, l´uso esclusivo di materiali locali non pregiati può farci escludere che esistessero in quell´epoca estesi scambi commerciali, mentre un sistema più o meno raffinato di costruzione può dirci molto del livello tecnico raggiunto da una civiltà, così come l´implicito impiego di molta manodopera (pensate alle piramidi) indicherà la larga disponibilità di schiavi o di operai a basso salario. Il suo scopo racconterà infine di un clima di pace o di guerra e rivelerà l´ideologia che ne ha determinato la progettazione, come nel caso di monumenti religiosi o celebrativi.
Un monumento, inoltre, ha un valore antropologico, dato che consente di ricostruire la vita quotidiana di una comunità: basti pensare alla Fontana Napoli, costruita a Patti nel ´600 per portare l´acqua all´interno dell´area urbana, ma esplicitamente interdetta alle lavandaie da una recinzione in ferro sul bordo della vasca, sul cui fondo il solco profondo dei secchi fa capire come per secoli si sia attinta l´acqua da portare nelle abitazioni.
In entrambi i casi il corretto mantenimento della struttura e dei materiali originali è fondamentale per interpretare fedelmente la memoria che esso contiene.
Un monumento ha, infine, anche un valore emozionale, perché fa sentire chi lo visita a contatto diretto con chi lo costruiva o lo toccava secoli o anni prima: quasi come una macchina del tempo, fa trovare l´uomo di oggi accanto a chi, come lui, abitava già in passato quei luoghi: antenati, concittadini, bisnonni e genitori, che lo hanno visto e vissuto proprio come noi lo vediamo e viviamo oggi.
Tutto questo è stata, per sette secoli, Porta San Michele, una delle 5 porte della cinta muraria pattese, costruita dagli Aragonesi agli inizi del ´300, durante la guerra del Vespro, che in Sicilia li opponeva agli Angioini. Questa Porta, attraverso cui passavano i marinai ed i ceramisti del rione per raggiungere la Marina, scendendo lungo il corso del torrente Provvidenza, le lavandaie per andare a lavare i panni al fiume (in quei lavatoi ormai distrutti dal cemento dell´ultimo Novecento) e i contadini, per andare a lavorare negli Orti, che hanno dato il nome ad una sottostante contrada, o chiunque dovesse andare oltretorrente (al Convento dei Cappuccini, poi trasformato in Cimitero, o a Roccone, Monte o Valle Sorrentini), traversando magari con l´aiuto dei Maragnoni, i traghettatori a spalle che lavorarono a San Michele fino alla costruzione di un Ponte stabile sul Provvidenza; questa Porta, insomma, che è rimasta l´unica perfettamente intatta fino ai bombardamenti con cui, nell´agosto del 1943, gli aerei americani e le navi inglesi distrussero l´85% delle case di quel rione e che ha retto persino al disastroso terremoto del 1978, con cui è stato spazzato via gran parte del Centro Storico pattese, oggi non sappiamo se continuerà ad essere ciò che per 7 secoli è stata.
L´abbiamo rivista, infatti, solo la settimana scorsa, finalmente libera dalle impalcature del restauro, reso necessario ed urgente dall´ampio crollo di un tratto delle mura vicine, molto mutata. Scenograficamente bella, senza dubbio, grazie all´assenza delle erbe che a lungo l´avevano ricoperta, al rifacimento dei tratti mancanti e all´illuminazione dal basso con i faretti a terra. Suggestiva, ma non più quella. Senza dubbio il restauro mirava proprio a far dimenticare il rudere a cui era ridotta, ma ci sembra sia andato ben al di là di quell´opera di "messa in sicurezza e recupero", di conservazione, che doveva realizzare, per approdare ad un vero e proprio rifacimento, che ricorda quello (poi criticatissimo) eseguito in passato a Tindari, con lo spostamento di alcuni blocchi di pietra per ricostruire la cosiddetta Basilica, e che apre molti dubbi. Almeno per noi profani, a cui nessuno, del resto, ha ancora spiegato la metodologia concretamente adottata durante i lavori.
Anche se, infatti, era stato presentato dal Sindaco ai cittadini il progetto iniziale (che alleghiamo qui a fondo pagina), varie difficoltà in corso d´opera hanno poi imposto ripensamenti e scelte diverse, su cui nulla si sa di preciso, tanto che, affidato l´appalto con un ribasso del 35%, si è poi dovuto far ricorso alla consueta Variante in corso d´opera (che alleghiamo a fondo pagina) per aggiungere un ulteriore stanziamento di 11.500 euro. Sia chiaro: va riconosciuto all´attuale Sindaco il grande merito di avere finalmente cercato di salvare concretamente questo monumento, molto caro a tutti i pattesi, su cui per anni si erano versati fiumi di buone (e vane) intenzioni, ma non possiamo non rilevare due cose: 1) non si può continuare ad utilizzare la "procedura negoziata, senza bando di gara" per scegliere ditte non qualificate (al di là delle garanzie solo formali di apparentamento con ditte certificate e della buona volontà delle maestranze), per eseguire lavori che richiedono capacità specifiche ed esperienza; né si può usare un restauro così importante come "scuola pratica" (come ha affermato durante l´inaugurazione il Direttore dei Lavori) per operai inesperti, anche se armati di grande passione, se lo stesso Direttore dei lavori, proprio per il ruolo istituzionale che ricopre, non può essere presente che poche ore alla settimana. 2) Si è scelto di includere nell´intervento il rifacimento di un vicino vicoletto, improntato ora ad una graziosa "atmosfera" di antico, che stona però dolorosamente con lo stato di abbandono del resto del rione e che appare fuori da ogni contesto storico. Riteniamo che gli interventi all´interno del Centro Storico, anche se eseguiti a poco a poco, debbano essere tutti inseriti in un complessivo piano di restauro, per salvaguardare quell´armonia dell´insieme, che è l´unica cosa veramente preziosa in un contesto di semplici abitazioni, prive in sé di specifica monumentalità.
In attesa delle relazioni finali del Direttore dei lavori della Soprintendenza e del RUP del Comune, o di una pubblicazione scientifica sul restauro, che ci impegniamo a pubblicare sul nostro sito non appena potremo leggerle e che potranno sciogliere i nostri dubbi ed illuminare ciò che oggi ci appare oscuro, pensiamo sia giusto intanto dare voce ad alcune perplessità, che aleggiano sul nuovo arco. Nel documento a fondo pagina ("Restauro conservativo o rifacimento?") ci limitiamo a semplici confronti tra il prima e il dopo, sottolineando le differenze.
In generale diciamo solo che l´opera restaurata ci ha trasmesso un effetto di "finto", di opera moderna "antichizzata" dalla sfumatura vagamente rosata dei nuovi muri, che, ricompattati e riallineati, potrebbero rendere più difficile l´auspicata opera di completamento del tracciato delle fortificazioni trecentesche e che da subito rendono difficile la riappropriazione del monumento da parte di molti abitanti del rione, del tutto tenuti fuori dal processo di restauro.
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