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PATTI-TINDARI E LA “MEDIOCRITA’ DI BRONZO”

19-11-2018 15:22 - News Generiche
Da qualche settimana il “Paese Visibile” (quello fatto dalla gente “che conta”) è impegnato a risvegliare l’entusiasmo dei pattesi sul possibile cambio di nome della nostra cittadina da “Patti” a “Patti-Tindari”, nel comprensibile intento di risollevare il nostro declinante destino economico e sociale, attraverso il richiamo turistico della più celebre frazione collinare, fondata dai Greci ed ancora prospera nel periodo Romano, molto prima che i Normanni registrassero per la prima volta in un atto scritto il nome di Patti. E si punta per la precisione a collegarsi alla memoria del periodo augusteo, sia perché i reperti archeologici risalenti a quell'età sono più numerosi, sia forse per un’inconscia affinità con lo sforzo propagandistico, con cui il primo imperatore del mondo latino proclamava l’avvento della pace e della prosperità romana, bilanciando la perdita della democrazia con il placido benessere dell’aurea mediocritas, goduta da chi sa accontentarsi di modesti piaceri, ed immortalata per Augusto dal poeta Orazio.
In effetti per i più anziani tra i pattesi l’unico accoppiamento familiare al nome del paese è quel “Patti-San Piero Patti”, scandito un tempo con enfasi dai capistazione, per informare i passeggeri (prima dell’avvento delle voci meccaniche) sul posto raggiunto. Un accoppiamento che aveva una sua logica, perché collegava il luogo costiero a quello collinare corrispondente: non si pensava, evidentemente, al brand turistico, ma alla realtà economico-sociale dei territori e quel grido risuonava con affetto alle orecchie dei pattesi, come il profilo dei suoi monti agli occhi della Lucia manzoniana.
D’altra parte il richiamo alla mediocritas augustea non guasta nella Patti di oggi, dove aleggia un clima da fine anni ’50, quando gli Invisibili prendevano per necessità la via dell’emigrazione (ripercorsa oggi dalla nostra migliore gioventù), mentre la borghesia trionfava finalmente sia sulla nobiltà in declino (di cui si accaparrava terre e ruoli sociali) che sul mondo contadino ed artigiano, guardato con il sarcasmo e il disprezzo di chi non ama la terra ed il lavoro, ma il facile guadagno del commercio e della speculazione. Oggi come allora i Visibili facevano corpo unico grazie ad interessi economici, che li saldavano al di sotto della superficiale schermaglia politica, e si esprimevano in quella “Cultura unica” (la cultura con la C maiuscola, ovvero l’arte per l’arte e il gusto del sofisma fine a se stesso), fatta di retorica perbenista ed interclassista, per la quale prendere coscienza del conflitto sociale equivale ad inventarlo e di cui si è nutrita e si nutre la facile “sicilianità” degli scrittori di provincia. Se, però, quella augustea ed oraziana era una mediocritas d’oro, sia per l’indiscutibile ascesa economica del loro sistema sociale in quella fase, sia per la complessità culturale, capace di armonizzare apporti diversi, esaltandone i contributi più maturi, quella pattese di oggi è una mediocrità “di bronzo”, dato che si nutre di un’irreversibile crisi economica, ne ignora volutamente cause e possibili rimedi e va sbandierando un penoso copia-incolla culturale, incapace di interagire con il flusso della storia, con una presunzione degna del suddetto bronzo.
Per noi (che per principio e per nome stiamo dalla parte degli Invisibili) e che oggi avvertiamo con pena il deteriorarsi del confronto politico e culturale, ma anche per molti cittadini pattesi, che non hanno perso lo spirito critico dei veri Siciliani, il problema dunque non è il nome da dare al paese, ma la sostanza che quel nome sottende. Il vero problema è ridiventare padroni del proprio destino, all'interno di una collettività cosciente dei propri problemi. Il “brand” può ingannare solo (e solo per una volta) un acquirente incauto, non chi un territorio lo vive nella sua quotidianità.


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