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MIGRANTI: L´IPOCRISIA DELL´ACCOGLIENZA

22-11-2016 09:05 - News Generiche
Fin dalla sua comparsa sulla terra, la specie umana ha compiuto grandi ed inarrestabili spostamenti migratori, per ragioni geoclimatiche e storiche, che hanno reso contemporaneamente invivibili le aree di provenienza e facili da invadere zone più adatte alla vita dell´uomo, in cui era entrata in crisi la forma di organizzazione sociale di chi già le abitava.
La storia ha ricostruito così la protostorica "invasione indoeuropea", dal nord verso il sud dell´Europa e dell´Asia, quella "dorica" dal nord al sud della penisola balcanica, in cui tramontava la civiltà micenea, quella "barbarica", dalle periferie verso il centro dell´ormai vacillante impero romano, quella europea verso le Americhe, in cui declinavano le civiltà precolombiane.
Per questo oggi più che "giusti o sbagliati", "corretti o politicamente scorretti", sono patetici sia i tentativi di arginare con muri, eserciti o campi di isolamento lo spostamento di masse migratorie dall´Africa e dall´Asia mediterranea verso l´Europa occidentale, in cui irreversibilmente sta declinando il sistema sociale capitalistico, sia le ipocrisie dell´accoglienza graduale. Quest´ultima, sbandierando principi di umanità e falsi "buonismi", cerca in realtà di sfruttare l´ondata migratoria usandola come manodopera a buon mercato o relegando i "nuovi schiavi" in mansioni marginali e subalterne, se non addirittura nel degradante mondo dell´illegalità.
L´Europa, dopo essersi spartita a fine ´800 le zone dell´Africa, con il gigantesco Risiko avviato dal Trattato di Berlino, depredando sistematicamente le risorse materiali, devastando il territorio con guerre tra i predatori, che hanno alimentato la florida industria delle armi convenzionali e chimiche, e sperimentando tutte le forme di dominio violento, oggi chiede a chi non può più sopravvivere in quei territori di devastazione, in cambio di una "benevola accoglienza", l´immediata "integrazione", cioé l´abbandono istantaneo della cultura, della religione e degli usi sociali di provenienza, senza aspettare i tempi lunghi e graduali della positiva mescolanza di civiltà.
E qualcuno cita ad esempio della capacità di adattamento gli emigranti italiani, che a partire dall´Unità ottocentesca del paese sono stati costretti a continui trasferimenti verso il Nord Europa e le Americhe, dimenticando spudoratamente tutte le little Italy del mondo, in cui gli italiani all´estero hanno conservato gelosamente tradizioni e dialetti, processioni e forme organizzative collaterali, talora apertamente illegali come mafia e camorra.
Ma dai migranti africani e mediorientali si pretende subito una quieta sottomissione alla nostra società corrotta ed in crisi, li si "accoglie" solo se pronti a sottomettersi, come deve fare ogni "buon selvaggio", alla luminosa "civiltà occidentale". Meglio farebbe invece, la nostra morente civiltà industriale, in cui scompaiono gli stati nazionali e agonizza la globalizzazione dello sfruttamento del lavoro, a rassegnarsi alla multiculturalità, accettando trasformazioni radicali ed inarrestabili e cercando di prefigurare una nuova civiltà, un laboratorio sociale di nuove forme di convivenza e di produzione.
Non ci sono migranti "buoni" e "cattivi", ci sono persone appartenenti a popoli diversi dal nostro, molto più determinate di noi a sopravvivere, a cui è meglio riconoscere capacità e validità pari alle nostre, dando spazio di buon grado a culture, religioni e diverse forme di vita collettiva, prima di esserne, come la storia insegna, travolti.

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