PIENA DI GRAZIA
25-06-2022 17:55 - News Generiche
Definire l’interruzione volontaria di gravidanza come un diritto o una libertà è un grave equivoco. Questa rinuncia ad esercitare l’immenso potere di dare la vita, esclusiva delle femmine di ogni specie, è infatti essenzialmente una scelta, dolorosa ed in gran parte consapevole, che da sempre le donne compiono, quando sanno di non poter dare al figlio che nascerebbe ciò che gli è essenziale: tempo di cura, amore altruistico, elementi materiali di sopravvivenza. Un potere di vita, quello delle femmine, che in quanto potere non può essere condizionato né da un riconoscimento di diritti né da una concessione di libertà da parte di chi detiene in qualsiasi forma il controllo e il governo di un territorio e della sua popolazione.
Lo Stato può riconoscere solo il diritto ad abortire nelle strutture pubbliche, con l’adeguata assistenza sanitaria, e la libertà di non essere perseguite e condannate quando lo si fa privatamente, ma indipendentemente da ciò la decisione delle donne resta incontrollabile dalle istituzioni. Se hanno scelto di farlo, lo faranno anche a rischio della propria vita. Le battaglie fatte dai movimenti femministi per ottenere l’appoggio statale sono state fatte sia per salvare le donne più povere dal rischio di morte, sia perché questo potere (non diritto) femminile fosse riconosciuto. Quanto alla disapprovazione sociale (più o meno esplicita), essa pesa comunque su chi abortisce, persino da parte di quegli operatori sanitari che per correttezza non si dichiarano obiettori.
Il nodo del problema è la contestazione in sé di questo pur indiscutibile potere, da parte di chi ritiene che la donna sia solo un contenitore della vita creata da altri (Dio o il maschio) e che perciò spezzare quella vita è da parte sua un crimine verso i veri creatori: la donna è stata “riempita” di grazia e darà solo corpo ad uno spirito che viene da fuori di sé. La donna non crea la vita (con il contributo secondario dell’accoppiamento), le dà solo forma umana (e per questo è essenziale anche per un Dio, che ha deciso di farsi uomo). Da dove viene e dove vaga questo Spirito di teologica o hegeliana invenzione? Per chi ha fede la risposta è scontata e la sua materializzazione è la base di quella commistione tra bene (lo spirito) e male (la carne), che rende possibile il peccato e la dannazione e che colloca la donna alla radice del male e del peccato. Per gli idealisti la difesa è più ardua e la battaglia filosofica con i materialisti degli ultimi due secoli lo dimostra (valga qui come esempio lo storico saggio femminista “Sputiamo su Hegel” di Carla Lonzi).
La Corte Suprema Statunitense ha oggi ribadito l’ennesima battaglia del potere statale contro un potere femminile che lo sovrasta e che prescinde da esso, ma non potrà scalfirlo né limitarlo. Toccherà ancora una volta alle donne ricordarne la terribile realtà e cercare di ottenere le condizioni socialmente più agevoli per esercitarlo.
Lo Stato può riconoscere solo il diritto ad abortire nelle strutture pubbliche, con l’adeguata assistenza sanitaria, e la libertà di non essere perseguite e condannate quando lo si fa privatamente, ma indipendentemente da ciò la decisione delle donne resta incontrollabile dalle istituzioni. Se hanno scelto di farlo, lo faranno anche a rischio della propria vita. Le battaglie fatte dai movimenti femministi per ottenere l’appoggio statale sono state fatte sia per salvare le donne più povere dal rischio di morte, sia perché questo potere (non diritto) femminile fosse riconosciuto. Quanto alla disapprovazione sociale (più o meno esplicita), essa pesa comunque su chi abortisce, persino da parte di quegli operatori sanitari che per correttezza non si dichiarano obiettori.
Il nodo del problema è la contestazione in sé di questo pur indiscutibile potere, da parte di chi ritiene che la donna sia solo un contenitore della vita creata da altri (Dio o il maschio) e che perciò spezzare quella vita è da parte sua un crimine verso i veri creatori: la donna è stata “riempita” di grazia e darà solo corpo ad uno spirito che viene da fuori di sé. La donna non crea la vita (con il contributo secondario dell’accoppiamento), le dà solo forma umana (e per questo è essenziale anche per un Dio, che ha deciso di farsi uomo). Da dove viene e dove vaga questo Spirito di teologica o hegeliana invenzione? Per chi ha fede la risposta è scontata e la sua materializzazione è la base di quella commistione tra bene (lo spirito) e male (la carne), che rende possibile il peccato e la dannazione e che colloca la donna alla radice del male e del peccato. Per gli idealisti la difesa è più ardua e la battaglia filosofica con i materialisti degli ultimi due secoli lo dimostra (valga qui come esempio lo storico saggio femminista “Sputiamo su Hegel” di Carla Lonzi).
La Corte Suprema Statunitense ha oggi ribadito l’ennesima battaglia del potere statale contro un potere femminile che lo sovrasta e che prescinde da esso, ma non potrà scalfirlo né limitarlo. Toccherà ancora una volta alle donne ricordarne la terribile realtà e cercare di ottenere le condizioni socialmente più agevoli per esercitarlo.