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CONOSCERE PER TRASFORMARE

18-01-2022 17:54 - Le inchieste
Non è facile che la voce del nostro Paese Invisibile arrivi oltre l’ambito cittadino o al di là della pur vasta cerchia di Pattesi, emigrati ormai stabilmente fuori regione, che mantengono un legame di affetto e di curiosità verso il luogo natìo. Allo stesso modo, per quanto le nostre analisi sociali aspirino ad un significativo livello di generalizzazione, è difficile che, nascendo al di fuori del mondo accademico, siano accolte con interesse da ricercatori e studiosi a livello nazionale ed universitario.
Eppure negli ultimi mesi per ben due volte le inchieste sui nostri Invisibili hanno ottenuto un riconoscimento di validità scientifica, che ci ha dato conferma della correttezza dei nostri metodi e dell’importanza dei risultati raggiunti, spingendoci oggi, pur in un momento di grave dispersione sociale e di politiche volte ad irreggimentare la collettività, a riprendere la nostra strada di inchiesta socio-economica e storica, superando le limitazioni ai contatti sociali imposte dalla pandemia sanitaria e il tanto sproloquiare di “scienza” erroneamente intesa ( in opposto alla sua vera natura) come principio d’autorità degli esperti accademici.
Ma partiamo dall’inizio: nel febbraio del 2011 iniziava, presso il Centro Culturale “Antica Casa Mangiò”, nel Centro Storico di Patti, un ciclo di otto Dibattiti settimanali, dedicati all’Inchiesta Sociale. Il Centro (che poco dopo e fino ad oggi sarebbe diventato la sede della nostra Associazione, “Il Paese Invisibile”) aveva deciso infatti di conoscere meglio la realtà sociale degli antichi rioni che lo ospitavano, attraverso un lavoro di inchiesta, preceduto da una riflessione collettiva sui modelli teorici e le pratiche dell’indagine socio-economica, antropologica ed etnografica. Ci interessavano soprattutto le ricerche che avevano avuto ad oggetto il Meridione d’Italia ed in particolare quelle svolte in un singolo paese, convinti come eravamo della bontà del criterio dei Community Studies (ricerche svolte in zone ristrette, la cui tipicità garantisca però la rappresentatività dei risultati per un'area molto più estesa).
Il primo Seminario aveva avuto come tema le inchieste di Umberto Zanotti Bianco e di Corrado Stajano ad Africo (in provincia di Reggio Calabria) e quelle di Carlo Levi in Sicilia (sugli zolfatari di Lercara Friddi, il fallimento della riforma agraria a Bronte, il resoconto dell’esperienza intrapresa da Danilo Dolci a Trappeto e Partinico ed il racconto delle lotte e dell’assassinio del sindacalista Salvatore Carnevale). Il secondo Seminario riguardava il lavoro di Manlio Rossi Doria a Portici e di Rocco Scotellaro a Tricarico, secondo i princìpi della scuola sociologica di Chicago e dell’osservazione partecipata. A questo si era collegato quello sull’inchiesta etnografica: da Giuseppe Pitrè ad Ernesto De Martino a Dario Fo, che era stato accompagnato dalla proiezione del documentario “La terra del rimorso”, commentato da Salvatore Quasimodo. Non era mancato l’interesse per lo Sciascia de “Le parrocchie di Regalpetra” così come avevamo approfondito, anche se ambientate in Toscana, le metodologie seguite dal Don Lorenzo Milani, per indagare sugli operai tessili di Prato, nei sette anni in cui era stato parroco a San Donato di Calenzano (prima del suo esilio a Barbiana) e dallo scrittore Luciano Bianciardi, sui minatori della Maremma.
A quei giorni di studio e di immersione in realtà degli anni ’50, cariche ancora delle speranze e del grande movimento ideale del Secondo Dopoguerra, aveva partecipato un gruppo di amici, attivi nella realtà culturale pattese, che ancora ringraziamo per aver pazientemente condiviso con noi un dibattito ed una serie di riflessioni, che si erano poi concretizzate da parte nostra nella raccolta sul campo di una serie di “Storie di vita” e di testimonianze specifiche, svolta nei rioni del Centro Storico, che ci avrebbe permesso di ricostruire, a livello storico, la verità sulle vittime civili dei bombardamenti anglo-americani del 1943 a Patti e, a livello economico-sociale, la storia travagliata dell’industrializzazione degli anni ’60 e del progressivo abbandono del lavoro agricolo, a favore dell’edilizia e dell’emigrazione.
Un lavoro di inchiesta appassionante ed umanamente coinvolgente, che abbiamo poi pubblicato in parte sul nostro sito Internet e da cui è nato anche il filmato “Patti sotto le bombe del ‘43” (tuttora disponibile su Youtube), girato con il videomaker Nino Cadili, che conteneva alcune delle interviste raccolte in quei mesi. Alle 14 vittime civili identificate con certezza abbiamo anche dedicato una lapide, affissa oggi sulla facciata principale del Municipio di Patti. L’obiettivo era quello di rendere visibile a tutti una realtà finora relegata nella coscienza degli Invisibili pattesi e di coinvolgere in iniziative concrete i protagonisti di quella realtà (come abbiamo fatto ad esempio per 5 anni con il nostro “Mercato delle Erbe”).
Negli ultimi due anni, però, come dicevamo all’inizio, (complice forse una pandemia che aumenta l’attenzione verso gli scambi culturali telematici) abbiamo registrato un inatteso interesse verso il nostro lavoro, anche da parte di storici e ricercatori universitari.
Dopo l’inclusione di alcune delle nostre testimonianze sui bombardamenti del ’43 nel saggio di Sebastiano Parisi (“Baia di Oliveri 1943. Le operazioni militari da Brolo a Messina durante la Seconda Guerra Mondiale”, edito da Pietro Macchione nel giugno del 2020), ci è arrivata infatti la primavera scorsa la telefonata della ricercatrice Monica Palladino (esperta di Economia e Politica Agraria, ed impegnata in quel momento in un lavoro collettivo sulle impostazioni di ricerca di Ernesto De Martino), che ha voluto approfondire con noi alcune tematiche del Seminario, che avevamo pubblicato sul sito nel 2013, e condividere la bibliografia a cui avevamo attinto quelle nostre ricostruzioni. Nell’autunno dell’anno scorso il suo lavoro “Andare per storie. Il metodo e la ricerca”, legato ad una sua inchiesta sui pescatori calabresi, è apparso nel saggio a più voci: “Conoscere per trasformare. La ricerca di Ernesto De Martino”, curato da Andreas Iacarella e Sonia Marzetti ed edito dalla rivista “Left”, e con rara correttezza la studiosa ha citato in bibliografia anche il nostro contributo. L’emozione più grande è stata comunque quella di scoprire che i princìpi che avevano ispirato le nostre “Storie di Vita” trovano oggi un’applicazione estesa in studi accademici, che accantonando le rigidità dei questionari fissi e la presunta imparzialità del ricercatore, si riallacciano alle ricerche etnografiche di De Martino e a quelle di economa agraria di Rossi Doria, con una nuova accezione di scientificità, che ridà valore alla cultura del mondo contadino ed alle testimonianze orali delle classi emarginate e rivendica come principio scientifico fondamentale il coinvolgimento soggettivo del ricercatore ed il suo desiderio di modificare la realtà sociale indagata, interagendo sui processi di omologazione culturale e di cancellazione sociale. Resta ancora oggi aperto, però, il problema di come incidere sulle realtà indagate, una volta sperimentata, già da De Martino, l’ostilità della cultura comunista verso la libertà del ricercatore e tramontati sia l’ottimismo degli anni ’60 sul riformismo socialista che quello degli anni più recenti verso politiche del territorio innovative, legate alla democrazia partecipata.
Da parte nostra resta la convinzione che solo gli Invisibili possano cambiare il proprio destino, con iniziative dirette e controcorrente, che si oppongano concretamente ai processi globali di impoverimento materiale e culturale.
Importante per noi, in questo saggio, anche la testimonianza dello storico Cesare Bermani, che ha rivalutato il ruolo delle testimonianze orali nella ricostruzione storica, costruendo preziosi Archivi registrati. Una proposta che da tempo avevamo lanciato a Patti, che era stata raccolta nel suo progetto di Museo Diffuso dall’architetto Fabio Fornasari e che oggi desta ancora l’interesse di alcuni giovani appassionati di storia locale. Occorre fare in fretta, però, prima che i processi di cancellazione della coscienza sociale riescano a modificare, come ben aveva intuito Orwell nel suo “1984”, la stessa memoria collettiva di intere generazioni.





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