23 Dicembre 2024
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La foto della settimana n.140: OLTRAGGIO ALLA STORIA

10-03-2020 16:02 - La foto della settimana
Le notizie da porre in primo piano nel dibattito pubblico le decide quasi sempre chi ha più potere politico o economico. Si impongono così ossessivamente alla nostra attenzione alcuni temi, mentre finiscono sotto silenzio problemi oggettivamente più gravi, ma troppo scomodi da giustificare per chi li ha causati, tanto che vengono taciuti mentre accadono e cancellati dalla memoria nelle ricostruzioni storiche successive.
I bombardamenti sui civili, iniziati in Europa meno di un secolo fa, sono un classico argomento tabù dell'attuale “guerra tra la gente”: una strage impietosa (soprattutto di donne, bambini ed anziani), causata oggi quasi sempre da interessi economici per il controllo di zone-chiave, che viene considerata degna tutt'al più di qualche parola di circostanza ed accettata come “male necessario” o “effetto collaterale” di poco conto, che preoccupa gli industrializzati paesi nord-occidentali solo quando innesca lo spostamento di intere popolazioni disperate.
Così oggi, mentre tutti i media e i commentatori di professione si occupano di un'epidemia ritenuta più grave di altre solo perché coinvolge i paesi ricchi, noi (che da sempre abbiamo scelto di mettere al centro gli Invisibili e che per primi, dopo 70 anni di ipocrita silenzio, abbiamo fornito la prova storica dell'esistenza di vittime civili pattesi nei bombardamenti anglo-americani del'43 sul nostro paese) torniamo a parlare di bombardamenti sui civili, perché nel vicino Medio-Oriente e nel Mediterraneo africano città siriane, yemenite, palestinesi, curde e libiche continuano a vivere questo dramma, con un numero di vittime decisamente superiore a quello delle tanto chiacchierate epidemie padane. Prendiamo spunto, però, com'è nostra abitudine, da un piccolo fatto locale, da una minuscola macchia di inchiostro, che collabora a coprire la verità storica.
E vi chiediamo: è un "omaggio a Picasso" o un oltraggio all'arte e alla storia questo mosaico a piastrelle di ceramica, che, riecheggiando la grande tela su “Guernica” del pittore spagnolo, da quasi due anni ci tormenta quotidianamente da un muro cittadino, grazie al patrocinio del Comune di Patti e all'operato congiunto di una locale scuola media e dell'Azienda “Ceramiche Siciliane Ruggeri”?
Noi non abbiamo dubbi sulla sua natura oltraggiosa, ma finora abbiamo preferito non esternare il nostro sentimento, confidando nel fatto che l'indifferenza dei pattesi verso questa epifania murale e l'ignoranza diffusa (in quanti hanno capito cos'è, a cosa fa riferimento e cosa calpesta?) attutissero l'effetto negativo dell'immagine.
Ma questo modo di negare la tragica storia della cittadina spagnola di Guernica, primo obiettivo civile raso al suolo da un bombardamento aereo nella storia europea, distorcendo (o, come dice l'insegnante che è tra i promotori del progetto, “trasformando in chiave positiva”) l'arte di Picasso, che ha sublimato la sofferenza di quella città, ci sembra in questo momento un esempio tipico della cancellazione della verità, su cui è utile far riflettere i nostri concittadini.
Guernica, cittadina basca apertamente schierata, durante la guerra civile iberica (che precedette di poco la seconda guerra mondiale) dalla parte della “rossa” Repubblica Spagnola, fu distrutta dall'aviazione nazista tedesca e da 3 bombardieri dei legionari fascisti italiani, alleati dei falangisti del generale golpista Francisco Franco, nella primavera del 1937, con un lancio di bombe incendiarie, che distrusse il 50% degli edifici ed uccise, anche grazie ad un forte vento, 1.654 persone: soprattutto donne, bambini ed anziani, dato che molti uomini erano sui fronti di combattimento.
Picasso colse, nel famosissimo grande dipinto che le ha dedicato a pochi mesi dalla strage, dopo aver visionato alcune foto del bombardamento, l'urlo stravolto della piccola comunità, la vita quotidiana andata di colpo in frantumi, alterando la forma consueta delle cose e la logica stessa dell'uomo, con un'offesa profonda e non più sanabile all'esistenza umana e alla civiltà. Le bocche delle donne e degli animali urlano il loro dolore e la loro paura. La lampadina elettrica e il lume ad olio portato da un braccio fantasma non fanno più luce sul buio. La torsione dei corpi umani ed animali indica lo strazio muto delle vittime. In basso, sotto gli zoccoli di un grande cavallo, campeggia un combattente ucciso, con le braccia spalancate come in croce, che nella mano destra stringe ancora una spada spezzata, da cui spunta un fiore. Le forme sono taglienti, aguzze e sembrano lacerarsi a vicenda. Il movimento lento e appesantito della donna che viene da destra e la testa bruscamente invertita del cavallo che viene da sinistra fondono insieme lo scoppio improvviso e la lenta agonia, prodotta sulla città da ben 31 aerei bombardieri e 26 caccia. A sinistra un toro trafitto, simbolo della Spagna ferita a morte, vicino ad una colomba stilizzata, che evoca la pace ormai perduta. Picasso utilizzò una gamma povera di colori: le figure sono realizzate in bianco e con varie tonalità di grigio, stagliandosi però con forza sul fondo nero del dipinto.
Nel “rifacimento” pattese la prima cosa che colpisce sono invece i colori: forti e vivaci, secondo lo stile decorativo della ceramica dello sponsor. Le quattro donne dell'originale (una, tra le fiamme, che alza disperata le braccia verso l'alto, una che esce urlando da una finestra, un'altra che si trascina semisvestita ed una madre che grida disperata, con la testa ripiegata verso l'alto, tenendo il neonato morto tra le braccia) nella locale “trasformazione in chiave positiva” sono diventate una donna con cappellino, una vezzosamente a seno nudo ed una madre che allatta tranquilla. Il cavallo trotterella affiancato al toro, da cui è sparita la lama del torero. La colomba è diventata un uccellino da cartone animato. Del cubismo di Picasso, che deforma le figure per cercare l'essenza del loro movimento, la “rivisitazione” operata dal mosaico pattese lascia solo qualche geometrica e statica bizzarrìa caricaturale (gli occhi sfalsati, le membra irregolari), affiancando al tutto l'autore stesso, che si affaccia sulla destra, a constatare perplesso, in costume da bagno, ciò che resta della sua geniale intuizione artistica, uscendo da un locale piastrellato con le mattonelle a tinte marcate della ditta pattese. In basso, al posto del combattente ucciso, solo una margheritina, replicata poco lontano su una bomba inesplosa, in formato uovo di Pasqua.
Ci chiediamo: perché, per pubblicizzare l'ormai defunta ceramica pattese, non restare al disegno naìf degli altri mosaici disseminati qua e là senza troppo danno per il paese (due targati ancora Caleca, gli altri 2 Ruggeri) e volersi invece misurare con qualcosa di troppo grande per prestarsi a questo gioco? Perché pensare che per combattere un dramma (in questo caso la guerra, ma in altri casi la mafia) la cosa migliore sia negarlo e parlare d'altro? Perché (parafrasando Pasternak) “prendere il dolore a vergogna” e trasformare la tragedia in commedia?
Ci auguriamo che, su questa falsariga, nelle nostre scuole non si metta un lieto fine all'Antigone o all'Edipo Re o non si voglia “trasformare in chiave positiva” la poesia di Leopardi o quella di Ungaretti. Ci auguriamo che si continui a trasmettere la cultura come fusione complessa di bene e di male, come testimonianza di un dolore, che è parte fondamentale della ricchezza esistenziale.
Chi non comprende la catarsi del dolore, resti pure ancorato alla sua visione idilliaca e pubblicitaria della vita, ma non pretenda di proporsi come educatore all'arte della comunità, si limiti ad abbellimenti graziosi nei periodi festivi, a rivisitazioni retoriche della storia locale, ma accetti e non tenti di oltrepassare i propri limiti, dato che persino il Carnevale più famoso del mondo è cultura perché intreccia la vita più sfrenata al mistero cupo della macumba e del candomblé e ha toccato il suo apice quando ha incrociato in modo sublime la morte e la sofferenza, nell'indimenticabile “Orfeo Negro” di Marcel Camus.


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